Gaia Segattini è fashion designer e blogger. Ma è come consulente di strategia di prodotto e design che, da più di dieci anni, si avvicina sul campo al mondo artigianale italiano e a quello della PMI.

Noi di Blide abbiamo discusso con lei proprio di artigianato, tra riflessioni, visioni e scenari di mercato.


 

Ciao Gaia! La tua natura poliedrica e la tua Mission come consulente di artigiani e di artigianato ci ha incuriosito molto. Da dove nasce questa tua passione?

Provengo dal settore abbigliamento nel quale ho lavorato come freelance per brand sportswear e streetwear, per cui mi occupavo di seguire il campionario ma anche di ricerca sulle tendenze e sulla comunicazione finale del prodotto.  Proprio la riflessione sul prodotto, così svilito sia dalle tendenze globalizzanti in termini di delocalizzazione, sia da una conseguente perdita della qualità di materiale, concept e resa finale, ha dato vita alla mia personale idea di business, ma soprattutto alla consapevolezza che dopo un lungo ed illusorio momento di benessere del mercato di produzione, tale impostazione sarebbe entrata in crisi. 

Non ho infatti mai dubitato che il legame iniziale e finale con il cliente, con il suo carattere di stima e responsabilità, avrebbe richiesto, alla lunga, la propria dignità ed uno spazio rinnovato. La conoscenza diretta del movimento Handmade e DIY dal 2007 in poi non ha fatto altro che confermare la bontà della mia visione: mi ha coinvolto per i suoi contenuti di autenticità che partivano dal sociale ed etico, passando tramite arte e  design e diventando fonte di sostenibilità economica. Da allora mi sono fatta portavoce di questo nuovo modo di considerare utensili e materiali  per ridare dignità agli oggetti.


 

 

 

A tuo parere quale potrebbe essere l’identikit del “Maker” italiano degli ultimi dieci anni? 

Anzitutto direi che parliamo in larga parte non più di giovanissimi. Anche se sui media si racconta di “giovani”, la maggioranza arriva a questo percorso in modo non immediato e non in conseguenza di un percorso scolastico: di solito tutto nasce da situazioni inattese e non “in agenda” come una porta in faccia, un licenziamento, oppure un percorso lavorativo che, seppur in linea con la loro formazione professionale, non si è dimostrato soddisfacente. Non dimentichiamo inoltre categorie di giovani che crescono in piccole aziende del terziario di proprietà di famiglia e dopo studi di diverso tipo, tornano alla base con nuove competenze e aperture mentali legate al mondo del digitale. L’identikit in termini di età potrebbe essere attendibile in un range che va dai 28 ai 40 anni.


Quali sono le maggiori difficoltà che hai riscontrato vivendo a stretto contatto con molti artigiani italiani? Ma soprattutto…è più facile oggi essere “crafters” rispetto al passato?

La maggiore difficoltà che trovano oggi i nuovi artigiani è legata non tanto all’incapacità  di emergere, ma ad una carente strutturazione successiva del proprio business. Quelli che sono partiti bene, (con un prodotto giusto ed una comunicazione efficace) lo hanno fatto tramite una diversificazione individuale di energie e competenze, dividendosi fra mille ruoli che comprendono  l’occuparsi del design, dei produzione, ma anche di comunicazione e social network, styling e fotografia, traduzioni, customer care, gestione e-shop, spedizioni. Quando il business (per talento, impegno e un pizzico di fortuna) cresce, cominciare a delegare ed ad affidarsi ad altri (e magari trovare uno spazio di lavoro più grande) è inevitabile. Ma la difficoltà economiche, di tassazione e di aiuto allo sviluppo sono ancora molto carenti e si perdono in una selva di offerte, dove spesso chi ci guadagna non è chi chiede aiuto, ma il sistema messo in piedi per aiutare. In generale c’è ancora troppa attenzione a chi parte ora e non a chi ha già all’attivo anche cinque o sei anni di fatturato…


Che rapporto hai con il surf, ed in generale, con gli sport da tavola?

Nullo dal punto di vista personale dato che a malapena galleggio! Ma ho avuto sempre una stima enorme per chi fa surf o skate: mi sono sempre sembrati degli sport autentici e puri con un legame con l’ambiente quasi mistico. A mio parere le cose nel mondo cambiano e sono cambiate solo tramite gli outsider…e surfisti e skater appartengono a questa categoria! Negli anni ho avuto la fortuna di conoscere alcuni shaper che hanno sviluppato un loro brand (o semplicemente si sono avvicinati alla falegnameria ed al mondo del laboratorio) tramite un approccio iniziale basato sulla curiosità e sulla realizzazione molto immediata e pratica di idee e progetti.

 

 


Dopo 10 anni di esperienza a contatto con l’universo artigianato, cosa pensi del futuro degli shaper italiani? Quali consigli ti senti di dargli?

In Italia sono pochi. Ed il surf e lo skate non sono sicuramente degli sport ancora popolarissimi qui, né tantomeno considerati autoctoni. Non vedo altro futuro che il posizionamento, seppur di nicchia, in un mercato internazionale, oltre che una gestione in autonomia per evitare ricarichi e costi troppo pesanti. Campagne come Kickstarter, ma networking con persone chiave, rimangono soluzioni percorribili. Bisogna rendersi conto in fretta che il momento dello “storytelling”, con le mani che lavorano tavole grezze non basta più: se si vuole davvero fare marketing ottimale sul prodotto bisogna guardare fuori dai nostri confini curando tecnologia e prestazioni, oltre che immagine ed estetica.


 

GAIA SEGATTINI

Fashion designer, blogger e consulente, dal 2007 ha cominciato a scrivere di nuovo artigianato e creatività indipendente sui portali delle edizioni Condè Nast ed ora nel suo blog Vendettauncinetta.com. Considerata un punto di riferimento per la nuova scena artigiana italiana, è autrice di due manuali per Gribaudo Editore ed art director della manifestazione Weekendoit, incentrata sulla condivisione delle tecniche manuali e lo sviluppo della microimprenditorialità . Ha collaborato con interventi creativi per diversi brand, ed è consulente su prodotto e comunicazione di prodotto per artigiani e PMI.